
Sta dilagando il primissimo dibattito per il riproposto progetto di costruzione del ponte sullo stretto, opera promessa ma mai realizzata. Nel 2008 persino cantierizzata, ma mai portata a termine.
Fra gli inghippi della politica e i ritardi della pubblica amministrazione, sono già stati spesi milioni di euro per un’opera che più che essere l’emblema della modernità, potrebbe diventare il simbolo di un’onnipotenza cercata ma sempre e comunque autodistruttiva.
Espropriare più di 200 abitazioni per ognuno dei due versanti, rovinare il panorama della costa piantando due enormi piloni, cambiare totalmente la linea dell’orizzonte.
Tutto ciò in nome di una migliore viabilità e costi più bassi (sarà così effettivamente?). In molti la chiamano modernità, abbattimento delle barriere naturali, progresso. Ma ne siamo davvero sicuri?
È lecito voler avvicinare col cemento ciò che il mare in milioni di anni di evoluzione ha separato? Per non parlare delle condizioni geologiche della Sicilia che autorevoli studiosi sostengono si stia allontanando rispetto alla sua posizione attuale.
Miglioramento o delirio di onnipotenza? È questo l’interrogativo che credo sia arrivato il momento di porre all’uomo contemporaneo. Assistiamo ormai da lungo tempo, al tentativo spudorato di superare qualsiasi limite la natura ci abbia imposto e questo ha prodotto un numero considerevole di problemi che non sono rimasti nell’ambito della teoria ma hanno prodotto vere e proprie stragi; non si tratta di essere catastrofisti ma di leggere la storia nella sua totalità. Si tratta di mettere sulla bilancia costi e benefici, possibilità e rischi. Fra le tante commissioni che stanno lavorando al progetto si è forse pensato di istruire una commissione etico-ambientale? Credo di no.
Molto spesso il più grande progresso è stato l’anticamera della più grande tragedia. Abbiamo bisogno di recuperare “il senso del limite”, questo grande sconosciuto. Pensare che il limite sia una condizione negativa, produce un modo di fare e di essere e in definitiva una mentalità che tende alla selezione e allo scarto senza se e senza ma.
Scoprirsi e riscoprirsi limitati, accettare il proprio limite, renderebbe l’uomo più figlio di questa terra che suo ostinato padrone.
Il limite, amico prezioso capace di conservare la vita.
Abbiamo trasformato una naturale condizione in una fonte di frustrazione poi tramutata in nevrosi.
È normale avere limiti, molto meno frustrarsi per il fatto stesso di averli, ancora peggio tramutarli in nemici contro cui concentrare le proprie energie.
Il vero progresso credo stia proprio in questo: accogliere il limite e assumerlo come elemento identitario, qualcosa che mi rappresenti profondamente, che non è estraneo a me ma che è proprio me. La versione migliore di ciò che sono e posso essere.
La vera rivoluzione è accettare di essere limitati, il vero progresso è diventare se stessi.
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