L’olio e la Corona

PER UN RECUPERO DELLA FORMA

Fin quando non recupereremo la forma, non saremo davvero al sicuro!

No, non è lo spot pubblicitario di un trattamento di bellezza, ma la considerazione, che a pochi giorni dall’incoronazione di uno degli ultimi sovrani europei, credo sia utile dover fare.

Milioni di telespettatori incollati allo schermo per ben tre ore, senza interruzione alcuna. Curiosità sicuramente, ma anche molto di più: senso del mistero e trionfo della forma. Queste le ragioni inconsce o no, che hanno spinto tutti a guardare quella suggestiva liturgia.

Suggestiva, cioè qualcosa che viene da suggestione ovvero l’essere gestiti da qualcos’altro al di fuori di me.

Cosa ci ha suggestionati? Innanzitutto il senso del mistero, di cui tutte le azioni erano impregnate. Non solo le parole ma soprattutto le azioni.

Ci siamo col tempo ingannati, credendo, che svelando tutto, rendendolo esplicito e coprendolo di parole-spiegazioni, garantirebbe una maggiore comprensione o genererebbe attrazione. Abbiamo fatto esperienza del contrario: l’assenza di spiegazioni (l’assenza di didascalie), il paravento durante l’unzione, la comparsa e scomparsa dei sovrani durante il rito, questo ha generato e ottenuto sforzo di comprensione e attenzione.

 Abbiamo bisogno dell’opacità di un velo, perché il nostro desiderio di capire venga allenato. Tutto ciò appartiene al dinamismo dell’azione liturgica che ha il diritto-dovere di essere chiara, ma non esageratamente diretta. Immediata, perché in grado di mediare contenuti e soprattutto esperienze.

L’Incoronazione come sacramento

Nessun cronista o quasi, ha compreso che la liturgia proposta era assimilabile alla celebrazione del sacramento dell’ordine nei suoi diversi gradi, soprattutto all’episcopato. Non per nulla il sovrano Inglese è capo della Chiesa Anglicana. Riconoscere, Ungere, Incoronare, Omaggiare, Comunicare. Cinque tappe di un percorso che ha molto ben configurato quello che è il carisma e il ministero del sovrano.

Riconoscere la propria missione e il proprio popolo. Unto per grazia di Dio, quindi scelto per questa missione. Incoronato, posto sotto il peso della responsabilità (quella corona splendente, altro non è che il segno del peso sopra la testa del sovrano). Omaggiato dell’obbedienza e della disponibilità dei suoi nobili come fedeli collaboratori, il tutto con la forza della preghiera e del pane eucaristico.

Quale lezione per noi? Ritengo che ne derivi una considerazione sull’importanza della forma. Abbiamo perso del tutto il senso di questa. Credendo di fare il bene, di rendere tutto più vicino e appetibile abbiamo dimenticato la serietà e la comunicatività della forma. In ogni ambito della vita, civile come ecclesiale.

Quanto ci faceva bene rispettare gli uomini in divisa o mettere l’abito buono la domenica, ricchi o poveri che fossimo? Quanto edificava guardare gli insegnanti con rispetto e timore o cedere il posto agli anziani e alle donne sui mezzi pubblici? Forme, piccole e grandi che immettono nella società il senso delle cose importanti. Siamo passati dalle lezioni di calligrafia (scrivere in bella grafia), a espressioni come nnt (niente) o xchè (perché).

Resto sempre impressionato quando, sfogliando i registri parrocchiali degli anni scorsi, i miei venerati predecessori avessero cura di scrivere non solo in maniera elegante ma anche con espressioni raffinate: è nato alle calende di gennaio…. È morto della malattia del secolo…

Di cosa abbiamo bisogno dunque? Tornare al passato? Sarebbe anacronistico. Possiamo però valorizzare il presente, recuperando il valore della forma. Ridonando a questa, forza comunicativa e importanza, perché la sostanza passa per la forma, non vi è infatti sostanza senza forma.

Usciamo dall’assioma per cui esistano l’una e l’altra, e convinciamoci che l’una è l’altra. In un incredibile e feconda unità.

Al generoso lettore ora, la sua riflessione, le mie sono solo suggestioni.

Dio salvi la forma.

Giuseppe Ciarciello

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